Nudging, manipolazione amichevole o scelta illuminata?

Giulia Dall'Olmo Copywriter
Nudging, manipolazione amichevole o scelta illuminata?

NUDGING

Nel nostro lavoro spesso capita di porci delle domande sulla persuasione, su come le parole possano influenzare delle azioni e se questo possa avere implicazioni etiche o meno. D’altronde esiste il libero arbitrio, ma anche i bias cognitivi possono avere un impatto significativo sulle decisioni che prendiamo, anche se spesso non ne siamo consapevoli.

Personalmente sono sempre attratta da questi argomenti che mescolano economia comportamentale, marketing, psicologia e linguaggio e cerco sempre di approfondire per avere le idee chiare, ma soprattutto per convincere tutti a fare quello che voglio…

Scherzo!

MEGLIO SPINGERE CHE TIRARE

A questo proposito ho letto “Nudge: Spinta gentile” di Richard H. Thaler (premio Nobel per l’Economia nel 2017 e uno dei padri fondatori della più recente economia comportamentale) e Cass R. Sunstein. Il libro esplora l'idea di "spinte gentili" o "nudging", come un modo per influenzare le decisioni delle persone in modo sottile e positivo creando un contesto che faciliti la scelta desiderata.

Il nudging si basa sulla comprensione dei bias cognitivi, ovvero pregiudizi cognitivi che fungono da trappole mentali e influiscono sulle decisioni che prendiamo.

Uno dei classici bias utilizzati nel marketing è quello del prezzo percepito, in sostanza il nostro cervello valuta il prezzo di un prodotto non tanto considerando l’effettivo valore, ma per come viene presentato. Quante volte vi siete trovati di fronte a un prezzo “X,99”? Il fatto di non scavalcare una soglia psicologica del prezzo porta il nostro cervello a percepire il prezzo come più basso.

I bias sono una tendenza a creare una realtà soggettiva, non corrispondente all'evidenza, che porta dunque a un errore di valutazione. Ne esistono davvero tanti e se vuoi approfondire, ti consiglio il libro di Matteo Motterlini, "Trappole mentali".

LA GENTILEZZA PUÒ SALVARE IL MONDO?

ll nudging mira a influenzare le nostre decisioni in modo gentile e non invasivo, può essere molto più efficace dei divieti o delle penalità e può essere utilizzato in molte aree, tra cui la salute, la finanza e l'ambiente.

Hai presente quando prelevi al Bancomat e lo sportello ti chiede se vuoi la ricevuta? Da una parte hai un tasto con sì, dall’altro spesso c’è scritto SCELTA SOSTENIBILE. Il che ti dà implicitamente l’idea che stai facendo una buona azione a non richiedere lo scontrino. Puoi comunque farlo, ma ti induco a farlo di meno.

Questo piccolo esempio mette bene in luce, credo, l'essenza del “nudging” in un approccio alle scelte pubbliche. Il “nudge” serve a invogliare comportamenti positivi per la società.

Un altro caso di un simpatico pungolo è quello usato nei bagni maschili dell’aeroporto internazionale Schipol di Amsterdam. Per evitare che chi urini sporchi il pavimento, è stato applicato in ogni orinatoio un piccolo adesivo a forma di mosca per stimolare il mantenimento di una “buona mira”.

C’È SEMPRE CHI NON È D’ACCORDO

Il nudging è un concetto che è stato oggetto di discussione e dibattito nella comunità accademica e nella società in generale. Alcune persone lo vedono come un modo per migliorare le decisioni, mentre alcuni scienziati psicologici si sono chiesti se sia suffragato da prove empiriche.

Stephanie Mertens, ad esempio, ha criticato il libro di Richard Thaler e Cass Sunstein per aver trascurato un importante bias di pubblicazione. Il bias di pubblicazione si verifica quando i risultati positivi di un'indagine o di un esperimento sono più probabili di essere pubblicati rispetto ai risultati negativi. Secondo Mertens, questo bias avrebbe influito sulla rappresentazione dell'efficacia del nudging nella letteratura e potrebbe aver restituito una rappresentazione distorta.

IN CONCLUSIONE?

Come si è visto, il nudge ha un potere travolgente e se sfruttato a dovere può rivoluzionare l’approccio alla vita quotidiana. È una cosa giusta, però? Non si limita la libertà altrui? Thaler e Sunstein parlano di un approccio di paternalismo libertario. Libertario perché gli individui devono essere liberi di fare quello che vogliono; paternalismo perché gli architetti delle scelte tentano di influenzare i comportamenti umani così da rendere le loro vite migliori.

Ammesso e non concesso che i paternalisti libertari migliorino le nostre vite, la prima domanda che mi sorge spontanea è: saremmo disposti a rinunciare a parte della nostra libertà per un – supposto – benessere maggiore? E poi davvero è tutto riducibile a bias cognitivi e questioni neuroscientifiche?

Dobbiamo rassegnarci e accettare il fatto che l’unica libertà reale è la consapevolezza di non essere completamente liberi?

Io risposte oggettivamente giuste o sbagliate non le posso dare e anzi più studio un argomento e più sono le domande che ottengo invece delle risposte e non nascondo che è anche la cosa che mi piace di più. Nulla vieta però di riflettere qualche attimo più a lungo la prossima volta che ci troveremo ad affrontare una scelta, tentando di non cadere nelle trappole del nostro stesso cervello.

 

Fonti: