Perché dovresti conoscere il Test di Bechdel

Test in che senso? È a crocette o a risposta aperta? Cosa misura? E come mai sarebbe utile conoscerlo? Se questa carrellata di domande, a cominciare dal titolo, ti incuriosisce, buona lettura! Ti prometto che in 5 minuti saprai tutto.
CONCEDIMI UNA PREMESSA
Diciamo la verità, nelle storie che vediamo sullo schermo i ruoli femminili sono molto spesso passivi, assecondati al personaggio maschile e al suo punto di vista. Questa rappresentazione riflette davvero il genere femminile o è un po’ troppo basic se non addirittura sbagliata? Sì, è una domanda retorica. Per capire, a un livello base, se una storia dà il giusto rilievo ai personaggi femminili può esserti utile il test di Bechdel.
Il test di Bechdel è un metodo empirico usato per valutare l'impatto dei personaggi femminili nelle opere di finzione come film, serie TV ma anche romanzi, fumetti, perfino canzoni. Il test consiste nel verificare se un'opera:
a) contiene almeno due personaggi femminili
b) che parlano tra loro di un qualsiasi argomento
c) che non riguardi un uomo.
Dopo tutto, non chiediamo la luna, sei d’accordo?
Il test nasce negli anni 80 dall’intuizione della fumettista statunitense Alison Bechdel. In una sua striscia del 1985 della serie Dykes to Watch Out For, due donne di nome Mo e Ginger valutano se andare al cinema e una delle due fa presente all'amica che accetterà solo a patto che il film soddisfi le tre condizioni a), b) e c) di cui sopra. Facciamo un esempio pratico: supererebbe il test un film con almeno due donne, parte attiva della trama e mosse da scopi che non abbiano a che fare con un uomo. Sembra una condizione facile da soddisfare, lo so, ma non lo è affatto: se lo fosse, non ci sarebbero così tanti film, alcuni dei quali anche molto belli, che non passano il test.
Credits: Immagine da Google Immagini
Pensa a qualche film famoso, magari al tuo preferito: verrebbe promosso o bocciato al test? Ecco alcuni titoli che non ce l’hanno fatta: Fight Club, Il Signore degli anelli, Avatar e… sigh…Toy Story.
Da una decina d’anni, il test di Bechdel ha iniziato a prendere piede nel cinema, soprattutto tra la critica femminista. Utilizzato anche per valutare programmi tv, film, libri e altri prodotti media, c’è perfino un sito, bechdeltest.com*, in cui è possibile trovare una lista di migliaia di film con i relativi risultati del test. Unica differenza rispetto ai criteri di origine: le due figure femminili devono avere un nome. Scopri quali film sono stati promossi!
Chiaro, il test non è indice della quantità o della qualità della rappresentazione femminile nell’opera di finzione, perché tutto quello che fa è misurare la presenza attiva della figura della donna, ovvero la profondità del suo personaggio.
*N.B: non associato in alcun modo ad Alison Bechdel
Credits: Immagine da Wikipedia
A parte che è un tema ultra attuale, tieni presente che buona parte del nostro pensiero critico e, in generale, del nostro modo di vedere la realtà, sono condizionati dai film e delle serie che guardiamo, dagli spot che intercettiamo, dai libri che leggiamo e dalle canzoni che canticchiamo. Normale sia così, fa tutto parte della nostra cultura! Non è affascinante scoprire come mai vediamo determinate cose in quel modo e, eventualmente, come liberarci da questi condizionamenti?
Ebbene sì, anche e soprattutto nelle pubblicità dovremmo rappresentare il genere femminile in modo realistico. Sono ancora troppe quelle che propongono contenuti a misura di figura maschile. Tanto che una ricerca del 2017 riportata da seejane.com (Istituto di Ricerca degli Studi di Genere nei Media) e condotta dal Geena Davis Institute su degli spot pubblicitari, ha rivelato dati da first reaction shock:
1. Gli annunci con solo uomini erano cinque volte più comuni degli annunci che ritraevano solo donne. Ergo, gli uomini ottenevano circa quattro volte più tempo sullo schermo delle donne.
2. Gli annunci con solo voci maschili erano molto più comuni degli annunci con solo voci femminili. Gli uomini parlavano sette volte più delle donne.
3. Il dialogo parlato delle donne era leggermente più semplice di quello degli uomini.
Credits: Illustrazione di Cecilia Castelli, da Pinterest
La notizia bella è che lo stesso anno Sarah Vincenzini, direttrice creativa di M&C Saatchi Melbourne, ha creato il cosiddetto Campaign Bechdel Test, con lo scopo di misurare gli stereotipi di genere nella pubblicità. Il progetto evolve i requisiti originali del test, infatti per superarlo una pubblicità deve includere:
1. Almeno un personaggio femminile che non sia una donna-oggetto
2. Il cui ruolo non sia limitato a supportare l’arco narrativo dell’uomo
3. Che abbia capacità decisionale autonoma
Il Campaign Bechdel Test serve a farci aprire un po’ di più gli occhi. Pensa solo a tutte le pubblicità dove due uomini parlano tra loro senza fare accenno a una donna: sono molti di più dell’inverso!
E poi il Campaign Bechdel Test è utile perché, se è vero che la pubblicità è uno specchio della società, rappresentare le donne in modo adeguato è un ottimo inizio per promuovere la parità di genere nella vita reale.
ATTENZIONE però: così come per i film, il test di Bechdel applicato alla pubblicità non è indice della qualità di uno spot e, allo stesso modo, il suo superamento non significa che uno spot non sia sessista. Indica solo quanto i personaggi femminili siano rilevanti e autodeterminanti.
Sarebbe fantastico se noi pubblicitari in primis invertissimo la tendenza, riservando ai personaggi femminili più tempo sullo schermo, più tempo per parlare e più risalto nel plot, senza cadere nell’orrore di oggettivarli. Certo, qualche pubblicità già sta già viaggiando in questa direzione ed è un buon segnale, ma non è ancora sufficiente. Raccontiamo veramente chi sono le donne, che continuano a lottare per la parità e il riconoscimento con tenacia, intelligenza e lucidissima consapevolezza. Siamo sempre state molto diverse da come ci hanno dipinto. Ecco, ora basta con i dipinti e passiamo alle foto. Possibilmente a colori. Cheese!